Un volto nuovo per il prossimo Sei Nazioni
Un giovane estremo ha attirato molte attenzioni nelle ultime settimane
Sembra impossibile.
Sembra impossibile eppure lo Stade Français ha perso contro i Leicester Tigers nel secondo turno di Champions Cup. A Parigi, davanti al proprio pubblico. Quello del Jean Bouin, lo stadio del club della capitale poco lontano dal Roland Garros.
Sembra impossibile a chi la partita l’ha vista, perché in fondo che una squadra dall’andamento volubile come lo Stade perda contro una delle big del campionato inglese non è cosa così rara e impronosticabile.
Domenica pomeriggio i Tigers sono stati bravi ad approfittare della loro miglior preparazione sul drive da rimessa laterale, con il giovane tallonatore Archie Vanes, classe 2001, che ha potuto festeggiare con una tripletta il suo debutto in Champions Cup.
In una partita dominata dallo scontro fra i due pack e dalle fasi statiche, però, la partita è stata illuminata dalla luce di una supernova. Non è esplosa una stella, bensì il talento di Léo Barré, uno dei grandi predestinati del rugby francese.
Dopo sessantuno minuti e quindici secondi di ostilità fra le due squadre, questo ragazzo di 21 anni e 189 centimetri riceve un pallone all’incirca sulla linea dei 15 metri, ben dentro la propria area dei 22. Non ha bisogno di molte riflessioni: contrattacca sparato le maglie avversarie, scavalca la prima linea di difesa con un calcetto che recupera egli stesso, si infila fra due difensori e li semina a grandi falcate, chiudendo la propria corsa dopo più di 80 metri in solitaria, sorridendo in mezzo ai pali mentre schiaccia la meta del 24-24 provvisorio.
Più tardi nella partita, a soli 20 secondi dalla fine, Lester Etien scalpellerà un suo secondo capolavoro, un calcio-passaggio con il destro che sta docilmente arrivando tra le mani dell’ala per il definitivo soprasso dello Stade Français, la meta che sarebbe valsa la partita.
Sembra impossibile, ma lo Stade Français riesce a non vincere la partita.
Sembra impossibile, ma il rugby francese ha tra le mani un’altra, un’ennesima, pepita d’oro.
Nei panni di Fabien
Fabien Galthié sembra un uomo riflessivo. Saranno quegli occhiali, sarà la flemma con cui accarezza le parole che sceglie di dire, quell’algida espressione da calcolatore che cela un carattere focoso.
Potete quasi immaginarlo, seduto alla scrivania con la penna e il bloc notes: mentre voi state leggendo, lui sta pensando alla sua lista di convocati per il Sei Nazioni 2024. Il 3 febbraio la Francia avvierà il suo Torneo contro l’Irlanda nel match più atteso tra le due deluse del mondiale.
Sarà l’inizio di un nuovo ciclo. Galthié è confermato alla guida della nazionale transalpina, con Shaun Edwards come allenatore della difesa e William Servat confermato nel ruolo di allenatore degli avanti. Sarà affiancato da Laurent Semperé, che sostituisce Karim Ghezal. Patrick Arlettaz, ex Perpignan, arriva alla guida dell’attacco al posto di Laurent Labit. Nicolas Jeanjean è il nuovo capo della preparazione atletica.
Inevitabilmente, ci si attendono novità all’interno di tutte le rose nazionali: da come andrà la transizione verso il dopo-Sexton in Irlanda alle domande su chi sostituirà Owen Farrell come apertura e come capitano nell’Inghilterra.
In Francia l’attenzione è soprattutto sull’assenza annunciata di Antoine Dupont, atteso dal rugby a sette con obiettivo olimpico, ma la novità del XV de France potrebbe essere rappresentata da Léo Barré.
I motivi sono tre.
Primo: è un giocatore polivalente. Nelle sue 47 presenze da titolare in carriera ha giocato 19 volte apertura, 18 volte estremo, 10 primo centro. Il sogno di ogni allenatore, poter contare in panchina su un giocatore pronto per coprire sostanzialmente tutta la linea arretrata.
Secondo: la concorrenza nel ruolo di estremo non brilla. Thomas Ramos sta giocando sempre apertura a Tolosa, con risultati alterni; Melvyn Jaminet è recentemente passato a Tolone per trovare maggiore minutaggio; Brice Dulin ha 33 anni e sembra avviato sul viale del tramonto.
Terzo: sta letteralmente mettendo a ferro e fuoco tutto quello che si trova davanti. A Parigi i tifosi dello Stade Français hanno ancora i lucciconi per la prestazione da migliore in campo del 3 dicembre contro Tolosa, con due mete decisive.

Non è stata la prima né l’ultima prestazione ottima di questa prima parte di stagione. Barré è in un momento di grazia e di fiducia totale nei propri mezzi: alla stazza non banale e a una tecnica individuale raffinata ha aggiunto due gambe micidiali che in questo momento gli stanno consentendo di essere imprendibile.
Con lui a estremo lo Stade Français ha sempre l’opportunità di calciare per il territorio o contrattaccare, indipendentemente dalla posizione di campo.
E visto che in tanti si sono accorti di lui, lo avrà fatto sicuramente anche Fabien Galthié, seduto alla sua scrivania, appuntandosi le sette lettere del suo nome e cognome nella lista sul bloc notes. Il capo allenatore ha due opportunità: la prima è cavalcare il momento di forma di un giocatore e chiamarlo subito, come ha fatto con Louis Bielle-Biarrey alla Rugby World Cup 2023, trasformandolo da giovane speranza in stella immediata; la seconda è scegliere la via della pazienza, che vedrebbe comunque Barré in nazionale in estate, quando si prevede che la Francia porti una squadra totalmente rinnovata in Argentina, come già fatto in Australia nel 2022.
Predestinato
Léo Barré non è esattamente una sorpresa, una novità.
È uno che viene da Le Chesnay, 17 chilometri a ovest di Parigi. Teatro della Battaglia di Rocquencourt, l’ultima vittoria militare di Napoleone. Cittadina natale di César Boutteville, sei volte campione francese di scacchi. E di Nicolas Anelka, Louis Picamoles, Victor Wembanyama, tra gli altri. Dev’essere qualcosa nell’aria, ma anche nel sangue che gli scorre nelle vene: Barré ha iniziato a giocare a soli sei anni nel Rugby Club Versailles dove giocava suo padre, dove a suo tempo aveva giocato suo nonno e dove ancora in precedenza aveva militato il bisnonno.
È un figlio dell’estate del 2002, quella di Le vent nous portera dei Noir Desir. È uno che è sempre sembrato più vecchio degli anni che ha: anche adesso non porta la faccia del 21enne in cima a quel corpo.
A giugno del 2019 il quotidiano Le Parisien lo inserisce tra le cinque grandi speranze sportive parigine per il domani. Nello stesso periodo, ancora sedicenne, parte con la nazionale U18 per una tournée in Sudafrica. Nel 2020 la Francia vorrebbe già portarlo, con un anno di anticipo, al mondiale U20, che però viene annullato per la pandemia.
L’esplosione definitiva del suo talento viene ritardata dall’assenza di confronto con i pari età a livello internazionale, visto che riuscirà a giocare solamente due partite del Sei Nazioni U20 2022 e le Summer Series di quell’estate a Treviso.
Si consola con il debutto in Top 14 nel febbraio 2021, a soli 18 anni. Oggi ne ha 21 e ha già accumulato 56 presenze nel massimo campionato francese e 10 nelle coppe europee. Dopo la nazionale U20 ha giocato anche con i Barbarians francesi, una sorta di anticamera alla nazionale tricolore.
In qualche modo, Léo Barré è evidentemente un predestinato, un talento immerso fin dalla più tenera età in un contesto che è come un liquido che lo ha circondato e nutrito. Una buona parte della sua forza viene dalla sua pur breve storia personale. Un’altra è innata, semplice classe, senza una vera causa prima. Come ha scritto la poetessa statunitense Maya Angelou: “Il talento è come l’elettricità. Non la capiamo, l’elettricità. La usiamo e basta.”